Perché le persone sono così diverse nelle reazioni emotive agli alti e bassi della vita? In che modo reagiscono?

Quando parliamo di come le persone reagiscono a ciò che accade loro nel corso della vita, e del modo in cui sviluppare e coltivare la capacità di provare gioia, instaurare relazioni amichevoli, superare gli ostacoli e in generale come vivere bene, non possiamo generalizzare formulando definizioni di massima, superficiali e globali. E’ necessario prendere in considerazione i singoli casi per elaborare profili personalizzati, molto più analitici e dettagliati. 

Il motivo di tale personalizzazione è rintracciabile nella presenza di pattern cerebrali diversi che sono alla base dei tratti, e degli stati emozionali, che definiscono ciascuno di noi.

Di fronte a situazioni stressanti, ad esempio, alcuni si dimostrano resilienti mentre altri crollano. Questi ultimi provano ansia e depressione o sono impotenti davanti alle avversità. Di contro, le persone resilienti riescono  non solo a resistere a eventi stressanti, ma anche a trarne beneficio trasformando, spesso, le avversità in un vantaggio.

La resilienza, oggetto di tanti libri, materia che ha suscitato molto interesse negli ultimi anni, è stata il più delle volte inquadrata come una sorta di abilità, un’attitudine innata, di tipo psicologico, solitamente generata ed influenzata dalla società, dai genitori, dagli adulti significativi, dal tipo di vita condotta.

La resilienza di cui ti voglio parlare, invece, è una nuova dimensione basata sulle ultime scoperte del neuroscienziato Richard J. Davidson che ha messo in luce un dato assolutamente strabiliante rispetto al vecchio approccio.

La resilienza non è solamente una componente della psiche o della personalità ma è assolutamente connessa con delle attività specifiche di alcune aree del cervello: la resilienza è caratterizzata da una maggiore attivazione nella corteccia prefrontale sinistra rispetto alla destra. Una mancanza di resilienza deriva da un’attivazione più elevata nella corteccia prefrontale destra.

La corteccia prefrontale è nota per essere la sede delle attività cognitive più elevate come il giudizio, la pianificazione e altre funzioni esecutive. Il neuroscienziato Richard J. Davidson, grazie alle sue ricerche, ha dimostrato che le persone con una minore attivazione in certe zone della corteccia prefrontale manifestano un’attività dell’amigdala di maggior durata dopo un’esperienza emotiva negativa; in altre parole hanno una capacità minore di liberarsi di un’emozione negativa dopo che è stata scatenata. L’attività nella corteccia prefrontale sinistra abbrevia il periodo di attivazione dell’amigdala, consentendo al cervello di riprendersi da un’esperienza scioccante.


Dunque, la sede cerebrale della ragione e delle funzioni cognitive d’ordine superiore riveste un ruolo importante per le emozioni, quanto quello svolto dal sistema limbico.


Richard J. Davidson

Negli anni Ottanta il mondo accademico relegava lo studio delle emozioni quasi esclusivamente all’ambito della psicologia sociale e della personalità, escludendolo da quello della neurobiologia; erano pochi i ricercatori interessati a studiare le basi neurologiche delle emozioni. Quando Richard J. Davidson evidenziò l’importanza dell’attività della corteccia prefrontale nell’espressione delle emozioni, la sua idea fu accolta da una serie interminabile di giudizi scettici. In molti ancora ritenevano che la corteccia cerebrale fosse la sede esclusiva della ragione, antitesi delle emozioni. In meno di vent’anni la comunità scientifica e medica è diventata molto più ricettiva nei confronti di questa nuova visione della dimensione emotiva umana.

Così Richard J. Davidson, nei suoi laboratori in cui si occupa di neuroscienze affettive, ha portato alla luce aspetti fondamentali della vita emotiva del cervello giungendo alla conclusione che ciascuno di noi è caratterizzato da ciò che lui stesso ha deciso di chiamare “Stile Emozionale”.

Lo “Stile Emozionale” è un modo coerente di rispondere alle esperienze della vita. Uno stile è governato da circuiti cerebrali specifici e identificabili (si può misurare utilizzando metodi di laboratorio oggettivi). Tutto ciò che ha a che fare con il comportamento, i sentimenti e i modi di pensare, ha origine nel cervello, e perciò qualsiasi classificazione valida deve basarsi anche sulle funzioni cerebrali.

Lo “Stile Emozionale” prevede sei dimensioni.

Perché è così importante capire come funzionano le sei dimensioni neuroemotive e soprattutto il collegamento con il cervello?

Perché queste dimensioni hanno un’influenza sull’assetto del nostro Mindset  (nei successivi articoli ti svelerò le “sei dimensioni emotive”: per ognuna potrai svolgere un test corrispondente e coglierne il tuo profilo personale).

Voglio farti un esempio legato alla resilienza: se sono uno sportivo, ed ho una resilienza particolarmente alta, la mia Mentalità Vincente sarà sicuramente più resistente davanti ad una sconfitta o un errore rispetto a chi, avendo una resilienza bassa, porterà con sé, per tutta la durata della partita, l’arrabbiatura di quel primo errore commesso all’inizio. Quindi, la Mentalità che ne consegue su quante chance ho di vincere, e quante chance ho di perdere, sarà nettamente influenzata da questa dimensione emotiva.


Oltre allo “Stile Resilienza”, ci sono altre 5 dimensioni emotive che fanno capire come il Focus del nostro Mindset possa essere influenzato (in certi casi addirittura deviato) dalla maggiore o minore attività di specifiche aree del cervello.



A questo punto hai sicuramente voglia di sapere quanto è forte la tua Resilienza in questa nuova ottica. Per scoprirlo puoi rispondere al test elaborato da Richard J. Davidson. E’ un test che non si basa su mere analisi affettive familiari psicologiche e di personalità, ma proprio sul funzionamento del tuo cervello in risposta a determinati stimoli

Clicca qui e partecipa al test al termine del quale avrai la possibilità di comprendere il tuo profilo.


Bibliografia:

  • Davidson, R.J. e Begley, S. (2013) – La vita emotiva del cervello – Ponte alle Grazie.